L’ESPRESSO
Pochi giudici, processi complessi. Ecco perché a Potenza le sentenze arrivano tardi
Tribunale sotto organico. Per dibattimenti con molti imputati. Ma il premier Renzi se la prende con la magistratura. E non con i suoi colleghi che tardano ad approvare la proposta di snellimento proposta dal ministro della Giustizia Andrea Orlando
Matteo Renzi «In Basilicata le inchieste sul petrolio si fanno ogni 4 anni, come le Olimpiadi. Non si è mai arrivati a sentenza». In concomitanza dell’attacco sferrato da Matteo Renzi alla magistratura di Potenza, sulle agenzie compare la notizia della sentenza contro il colosso petrolifero Total: i giudici hanno condannato a pene comprese fra due e sette anni gli ex vertici e alcuni imprenditori e amministratori.
Turbativa d’asta, concussione, abuso d’ufficio, corruzione, tentata truffa aggravata e favoreggiamento, le accuse contestate. La vicenda si riferisce ai lavori per la costruzione del centro oli di “Tempa rossa”, fra Corleto Perticara (Potenza) e Gorgoglione (Matera). L’inchiesta è stata coordinata dall’allora pm di Potenza Henry John Woodcock e risale al 2008. Eccola dunque, una sentenza.
«Le dichiarazioni di Renzi sono inopportune nei tempi ed inconsistenti nei fatti. Inopportune perché arrivano in un momento molto delicato dell’inchiesta, con un intervento ‘a gamba tesa’ e le sue insinuazioni sono quantomeno viziate da un interesse di parte». Non si è fatta attendere la replica a Renzi dal presidente della sezione della Basilicata dell’Associazione nazionale magistrati, Salvatore Colella.
Ma è innegabile che i tempi per raggiungere il verdetto finale siano notevoli. Non solo a Potenza. Ogni anno, come in un copione già scritto, le relazioni dei magistrati all’inaugurazione dell’anno giudiziario mettono in evidenza le criticità del distretto del capoluogo della Basilicata. Il tribunale, per esempio secondo i dati ufficiali del Csm, ha per il penale, escluso i giudici onorari, sette magistratri, di cui uno è presidente. Ma Il tribunale, nel complesso (civile e penale) è sotto organico di cinque giudici.
E mentre la procura procede abbastanza spedita, la discussione nelle aule va a rilento. Qui passano in media più di mille giorni prima di raggiungere il giudizio. «Una persistenza di obiettiva difficoltà a fronteggiare il flusso sopraggiunto, per cui il tempo di definizione dei processi non registra rilevanti miglioramenti», ha sotolineato la Corte d’Appello nel gennaio scorso in occasione della inagurazione dell’anno giudiziario. Ad alzare la media, ovviamente, sono proprio i processi importanti, quelli che hanno molti imputati e parti civili. Come il dibattimento Total arrivato nei giorni scorsi a sentenza.
Questi numeri non sono certo segreti. Già prima dell’era Renzi funzionava così. Prendiamo il bilancio sociale dell’ufficio giudiziario potentino del 2012: a fronte di 7.926 procedimenti penali esauriti (conclusi) nel 2011 sono aumentati, toccando quata 11 mila, quelli sopravvenuti. Insomma, di fronte a un carico così è quasi scontato che una sentenza per 30 e passa imputati arrivi dopo così tanto tempo.
Semmai la domanda da porsi dovrebbe essere un’altra: vista la situazione nota, come mai fino a ora non è stato fatto nulla per migliorara la situazione? Non è forse compito del Governo eliminare le criticità della macchina della giustizia?
Lucida, invece, è l’analisi del ministro Andrea Orlando, che dimostra di conoscere le disfunzioni della macchina burocratica della giustizia: «C’è un disegno di legge del governo che propone il percorso per arrivare a sentenza più rapidamente, auspico che il Senato lo approvi rapidamente». Non è quindi colpa della magistratura. La responsabilità è, piuttosto, della politica. Che ancora oggi non è stata capace di velocizzare il processo penale. Giovanni Tizian