IL SOLE 24 ORE
Vittime di reato. Per l’avvocato generale
Corte Ue «contro» i limiti italiani ai risarcimenti
Il diritto all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere va garantito a tutte le vittime di reato in uno Stato membro dell’Unione europea. Di conseguenza, è contraria al diritto Ue la previsione di un risarcimento limitato unicamente alle vittime di alcuni illeciti, escludendolo per le altre, come avviene per la legislazione italiana. Lo scrive l’avvocato generale della Corte di giustizia Ue, Yves Bot, nelle conclusioni depositate ieri nella causa C-601/14.
A citare l’Italia dinanzi a Lussemburgo è stata la Commissione europea, secondo la quale Roma avrebbe violato la direttiva 2004/80 sull’indennizzo delle vittime di reato, recepita in Italia con il Dlgs n. 204/2007, integrato da altre disposizioni. Questo a causa delle limitazioni al risarcimento previste nel testo italiano che circoscrive il perimetro di applicazione. Con la conseguenza che solo per alcuni reati legati alla mafia o al terrorismo, le vittime hanno diritto a un indennizzo se l’autore del reato è insolvente o sconosciuto. Un sistema incompatibile con il diritto Ue, osserva l’avvocato generale, le cui conclusioni comunque non sono vincolanti per la Corte. La direttiva, infatti, punta a garantire un’adeguata tutela delle vittime di reati violenti in tutto lo spazio europeo. Questo per evitare che a una vittima lesa in uno Stato sia preclusa la possibilità di ottenere il giusto indennizzo a causa della normativa nazionale. Con gravi conseguenze e ripercussioni sulle esigenze di sicurezza sottese alla disciplina Ue e alla libera circolazione.
La direttiva è poi chiara nel prevedere che, per far scattare il diritto all’indennizzo, ciò che conta è che il reato commesso sia intenzionale e violento. Una previsione che non lascia alcun problema interpretativo, quindi, perché – sottolinea l’avvocato generale – le nozioni di dolo e violenza sono omogenee nei diversi Stati membri e prescindono, quindi, da eventuali diverse qualificazioni. Pertanto, poiché la direttiva non esclude tipologie di reati e non lascia agli Stati membri un potere discrezionale di selezionare gli illeciti come presupposto dell’indennizzo, la previsione italiana è incompatibile con la normativa Ue.
Respinta al mittente anche l’obiezione circa l’invasione in competenze e prerogative statali. La direttiva, infatti, lascia gli Stati liberi nell’individuazione dei reati così come nella scelta dei criteri di quantificazione della riparazione alle vittime. Quello che è richiesto agli Stati è unicamente di modificare il proprio ordinamento garantendo l’indennizzo alle vittime di reati violenti in ogni caso, nel rispetto del principio della parità di trattamento, che sarebbe compromesso se l’indennizzo mediante fondi pubblici fosse concesso solo per alcuni reati.
Così, se un individuo è vittima di un reato violento e intenzionale in uno Stato membro diverso da quello della residenza, potrà chiedere – in caso di inadempimento dell’autore del reato – alle autorità competenti di detto Stato un indennizzo. La fissazione della soglia a partire dalla quale chiedere l’indennizzo è invece lasciata agli Stati membri. Marina Castellaneta