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Adozione, i veri nodi da sciogliere
Sab. 5 – Fino a pochi giorni fa per la politica italiana non c’era nulla di più importante delle unioni civili. Urgente, urgente, urgente approvare la legge, stepchild adoption compresa. Poi, vista l’impossibilità dell’obiettivo massimalista, altrettanto urgente portare a casa comunque un risultato positivo, pur senza stepchild. Ora in testa agli obiettivi del governo è balzata la legge sulle adozioni. E, anche in questo caso, si punta a riproporre la controversa stepchild adoptiono comunque una modifica della legge 184 (1983) che consenta di aprire le maglie del discusso articolo 44, quello che riguarda i cosiddetti ‘casi speciali’, in cui si vorrebbero inserire garanzie più esplicite per le coppie omosessuali.
Il percorso sarà comunque lungo, perché sarà necessario attendere l’esito dell’indagine conoscitiva partita nei giorni scorsi in Commissione giustizia. E bisognerà comunque verificare le 28 proposte di riforma giacenti in Parlamento. Solo a quel punto dovrebbe spuntare il progetto definitivo della maggioranza. Impossibile fare previsioni. Ma, se davvero l’obiettivo è quello di rivoluzionare la legge del 1983, il lavoro che attende il legislatore si prospetta immane. Perché, parlando di adozioni, non si potrà fare a meno di addentrarsi nel ginepraio degli accordi internazionali, dei minori che vivono fuori dalle famiglie d’origine, degli affidi, dei tribunali per i minori, della legge sul riconoscimento delle origini (ferma al Senato dal giugno scorso).
E poi c’è il rebus della Cai (Commissione adozioni internazionali) che dovrebbe coordinare il lavoro dei 62 enti autorizzati, ma da un paio d’anni non si riunisce e non comunica i dati. Anche su questo punto le ipotesi si sprecano. Il governo vuole abolire gli enti per accentrare tutto a livello istituzionale? Si punta invece a ridurre drasticamente il numero degli enti autorizzati, lasciando solo una decina di sigle? Vedremo. Certo, l’Italia è il Paese che ha il maggior numero di enti, quasi il doppio rispetto agli Stati Uniti, dove però si fanno il doppio delle nostre adozioni.
Determinante sarà l’obiettivo di fondo della riforma. Comunque si deciderà di intervenire, associazioni, magistrati, giuristi, enti autorizzati – profondamente divisi su molti punti dell’eventuale riforma – sembrano invece concordare su un punto. Lo spirito della 184 – offrire ad ogni bambino che ne è privo la possibilità la possibilità di crescere in una famiglia composta da una madre e da un padre – rimane una piattaforma che non dovrà essere scalfita. Esattamente il contrario insomma dello slogan che si sente rieccheggiare da qualche settimana: «Più adozioni per tutti». Perché, se davvero è questo che succederà, sarà difficile conciliare un proposito tanto ideologico con l’evidenza inesorabile dei numeri.
In Italia tutta questa voglia di bambini rimane confinata nei propositi delle statistiche. Non lo dicono soltanto i tassi di natalità – i più bassi dal dopoguerra ad oggi – ma anche il rapporto tra il numero di coppie sposate senza figli e le richieste di adozioni, sia nazionali sia internazionali.
Anche la tesi secondo cui le adozioni sono in calo perché cresce il numero di coppie che si rivolgono alla fecondazione assistita, tiene fino a un certo punto. Sul totale delle coppie senza figli, quelle che decidono di percorrere la strada – destinata al fallimento in quasi il 90% dei casi – della procreazione medicalmente assistita sono poco più di una su dieci.
E non è vero neppure che esistano, almeno in Italia, tutti questi bambini da adottare. Il rapporto è in media un’adozione portata a termine per dieci coppie dichiarate idonee. Diverso il discorso sul piano internazionale, dove però l’Italia non potrà fare tutto da sola, perché qui occorre ritessere tutta la rete dei rapporti con gli Stati. Insomma, una serie di passaggi delicati e complessi, a cui dovranno essere dedicati tempo, competenza e e riflessione. E in ogni caso non potrà essere compiuta sotto l’incubo stepchild. Luciano Moia