ITALIA OGGI SETTE
Famiglie a tutele crescenti
Accanto al matrimonio, la legge Cirinnà ha riconosciuto la convivenza di fatto, il contratto di convivenza e le unioni civili. Pro e contro di ciascuna situazione
Lun.16 – Relazioni di coppia a tutele crescenti. La legge Cirinnà ha disciplinato, a fianco del matrimonio, altre tre forme di relazioni personali: la convivenza di fatto, il contratto di convivenza e le unioni civili. Le prime due sono pensate per coppie eterosessuali od omosessuali, la terza invece è riservata agli omosessuali.
La convivenza di fatto è la situazione che garantisce il massimo di libertà e il minimo di diritti/doveri: la legge Cirinnà si limita a riconoscere ai partner una serie di facoltà finora individuate solo a livello giurisprudenziale, come il diritto di visitare il convivente in carcere o in ospedale, o di designarlo come rappresentante per le scelte più delicate in caso di malattia grave o morte, oppure i diritti di abitazione nella casa comune o la partecipazione agli utili dell’impresa familiare.
Non si introduce quindi nessun obbligo ma semplici facoltà, che possono essere esercitate o meno. L’unico rischio di «trovarsi sposato a propria insaputa», come fatto notare in modo colorato da qualcuno, è legato alla possibilità, per la parte che dovesse trovarsi in stato di bisogno nel momento della rottura della relazione, di chiedere al giudice gli alimenti, ma solo per un periodo proporzionato alla durata della convivenza: si tratta però di situazione estreme, nelle quali uno dei partner non è in condizioni di mantenersi perché impedito da grave malattia, dalla cura dei figli ecc. Non prevedere l’obbligo alimentare nemmeno in questi casi, in nome della libertà assoluta delle parti, avrebbe reso disumano un rapporto che, nella grande maggioranza dei casi, affonda le sue radici nell’affettività e nel mutuo sostegno. Tuttavia la convivenza non crea una nuova famiglia: è semplicemente una situazione riconosciuta come tale nel momento in cui i partner dichiarano la residenza in comune.
I conviventi possono (anche questa è una facoltà, non un obbligo) stipulare un contratto di convivenza davanti a un avvocato o un notaio «per disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune»: il contratto sarà opponibile a terzi e per questo va trasmesso all’ufficio anagrafe del comune di residenza. L’accordo non potrà prevedere termini o condizioni ma si potrà sciogliere con un semplice atto scritto, anche unilaterale, ricevuto da avvocato o notaio. Il rapporto di convivenza tra persone eterosessuali od omosessuali, con o senza contratto, non fa mai sorgere il diritto alla pensione di reversibilità, riconosciuta invece agli omosessuali che costituiscono un’unione civile. Mentre la convivenza è infatti imperniata sulla volontà delle parti di mantenere il massimo grado di libertà, la disciplina dell’unione civile è modellata in gran parte sui diritti e doveri dei coniugi, con qualche pasticcio linguistico legato al fatto che, per non entrare in collisione con l’articolo 29 della Costituzione, che esplicitamente «riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», si è dovuto creare un istituto parallelo a quello matrimoniale, ma con un nome diverso. Di fatto le uniche differenze sono legate alla mancata esplicita previsione della stepchild adoption (ma la giurisprudenza ha già in alcuni casi consentito l’adozione del figlio del partner in coppie omosessuali), e la mancata previsione dell’obbligo di fedeltà (già molto diluito dalla giurisprudenza anche per le coppie sposate). Per il resto l’unione civile si richiama sempre alla disciplina dei rapporti tra i coniugi, salvo ovviamente che la prima è riservata alle persone omosessuali mentre il matrimonio è il vincolo che lega un uomo e una donna. Restano fuori alcuni scampoli normativi in materia penale come la mancata equiparazione nel reato di falsa testimonianza, di abuso d’ufficio o di omicidio del coniuge. Ma sono dettagli di scarso impatto pratico, che potranno essere facilmente sistemati con gli interventi correttivi già previsti dal comma 28 della legge Cirinnà. Marino Longoni