CORRIERE ECONOMIA
I patrimoni al test delle «nuove famiglie»
ROMA – La legge Cirinnà, entrata in vigore il 5 giugno scorso, impone un ripensamento del concetto
di famiglia tradizionale, con implicazioni giuridiche e sociologiche che alimenteranno a lungo il dibattito civile. Intanto, in attesa che le norme attuative rendano del tutto operative le nuove disposizioni di legge, conviene ragionare su alcuni aspetti patrimoniali, non di rado trascurati dagli analisti: quali ripercussioni ci saranno su materie quali fisco e successioni? Vale la pena ricordare che il provvedimento si snoda su due nuclei principali: nella prima parte, istituisce le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Nella seconda, disciplina in modo organico le convivenze di fatto, introducendo una nuova fattispecie, il cosiddetto «contratto di convivenza», attraverso cui le coppie di fatto potranno, facoltativamente, regolare in modo dettagliato i propri rapporti patrimoniali.
UNIONI
In riferimento alle unioni civili, è da rilevare una distinzione prettamente formale rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio. «Nella sostanza, l’effetto che il provvedimento realizza è una pressoché totale equiparazione delle parti di un’Unione civile ai coniugi, relativamente a obblighi, diritti e doveri — spiega Leo De Rosa, dello studio Russo De Rosa Associati —. Viene espressamente richiamata una serie di disposizioni dettate in tema di matrimonio: in particolare, i doveri di assistenza morale, materiale e coabitazione; la disciplina in materia di regime patrimoniale (separazione o comunione dei beni ndr), prestazioni previdenziali, obblighi alimentari, diritti successori, impresa familiare, ordini di protezione, tutela e amministrazione di sostegno, cause impeditive e procedure di scioglimento.
L’unica importante e sofferta eccezione a questa impronta generale è relativa alla legge sull’adozione, che resta, salvo le ipotesi di adozione in casi speciali, appannaggio esclusivo di coppie unite in matrimonio». Secondo De Rosa, il principio generale di equiparazione dovrà estendersi necessariamente anche ai temi di fiscalità delle successioni, rendendo applicabili ai protagonisti delle unioni civili aliquote, franchigie, esenzioni, detrazioni, e così via.
CONVIVENZE
Diverso il trattamento previsto per le convivenze di fatto, ovvero, secondo la definizione della legge Cirinnà, la relazione instaurata tra «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile».
Attraverso il contratto di convivenza, si possono regolare in modo dettagliato, ad esempio, le modalità di partecipazione alle spese comuni, la definizione dei reciproci rapporti patrimoniali in caso di cessazione della convivenza; si può scegliere anche il regime della comunione dei beni.
La Cirinnà riconosce ai conviventi i diritti e doveri reciproci in tema di sanità (diritto di visita, assistenza e cosi via) e impresa familiare, oltre ai diritti in materia di abitazione e corresponsione degli alimenti: «in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, infatti, è garantito al convivente superstite il diritto di abitare nella stessa casa per due anni, o per un periodo pari alla convivenza, se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni, salvo che nella stessa casa abitino anche figli minori o disabili; nel qual caso — precisa De Rosa — il diritto di abitazione è riconosciuto per un periodo non inferiore ai tre anni».
In caso di cessazione della convivenza, il convivente che versi in stato di bisogno, e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, ha il diritto di ricevere gli alimenti, per un periodo proporzionale alla durata della convivenza, nella misura che sarà stabilità da un giudice. Dal punto di vista dei diritti successori, cosa cambia per i conviventi?
«La legge non si spinge sino a questo punto — aggiunge De Rosa —. Fatta eccezione per il diritto di continuare ad abitare nella casa comune per un periodo limitato, al convivente superstite non sono riconosciuti altri diritti. Questo significa che, per tutelare il partner, bisognerà fare ricorso ad altri strumenti offerti dall’ordinamento, come ad esempio, la redazione di un testamento, l’istituzione di un trust, oppure ancora la stipula di una polizza assicurativa a beneficio del proprio compagno o compagna. Anche sotto il profilo fiscale sarei prudente — suggerisce De Rosa —. Non credo che le modifiche introdotte con i regolamenti attuativi consentano di applicare al convivente il trattamento tributario riservato al coniuge». Pieremilio Gadda