LA REPUBBLICA
La stepchild adoption passa anche in Cassazione
“Se è nell’interesse del minore”. È bufera politica Le due mamme: ora diritti per i bimbi di coppie gay
ROMA – «Abbiamo avuto giustizia per nostra figlia, dopo due anni duri e difficili. Adesso speriamo che anche tutti gli altri bambini delle coppie omosessuali possano ottenere il diritto ad avere due genitori. Siamo felici e stanche, però è una grande vittoria». Sono queste le prime parole delle due mamme arcobaleno che ieri hanno ottenuto dalla Cassazione il sì definitivo alla loro “stepchild adoption”, a due anni dalla prima sentenza del Tribunale per i minori di Roma, che il 30 luglio del 2014 aveva riconosciuto alla madre non biologica la facoltà di adottare la figlia della sua compagna.
Una sentenza storica, scritta dalla giudice Melita Cavallo, piombata come un fulmine nel faticoso percorso di riconoscimento della famiglie omosessuali, attaccata dentro e fuori le aule di giustizia, ma ieri invece confermata in pieno dalla Suprema Corte. Una decisione da cui ne discendono altre 15, e che d’ora in poi farà giurisprudenza, visto che ormai in mancanza di una legge (stralciata, lo ricordiamo, dal testo delle unioni civili) in tutti i tribunali d’Italia le richieste di stepchild adoption aumentano di giorno in giorno. Inparticolare ieri la Cassazione ha riconosciuto la validità dell’impostazione del Tribunale dei minori di Roma, che ha concesso l’adozione alla co-madre utilizzando l’articolo 44 della legge attuale, la numero 184 del 1993.
Un articolo che prevede per il giudice la possibilità di superare i requisiti di legge (il matrimonio ad esempio), se in quel legame familiare «venga riconosciuto il prevalente interesse del minore». Ed è quello che è accaduto alle due mamme romane, di 40 e 50 anni, che dopo una fecondazione eterologa in Spagna sono diventate genitrici in Italia di una bambina che oggi ha sette anni. Per la nostra legge però, com’è noto, si può definire madre soltanto colei che ha un legame biologico con il figlio o la figlia, visto che non è prevista l’adozione per le coppie omosessuali. E dunque, nel caso di M., la mamma per la nostra legge era soltanto quella naturale. Invece la sentenza della giudice Cavallo, utilizzando l’articolo 44, e dopo una accurata indagine sulla coppia, ha riconosciuto la possibilità per la seconda madre di adottare la bambina, come “caso speciale”.
Raccontano le due madri: «Stiamo combattendo da oltre due anni, siamo state osteggiate in tutti i modi, in un clima che è diventato sempre più aspro. Per questo siamo ancora caute, nonostante la vittoria e la grande gioia nel cuore. La legge ci ha finalmente riconosciute entrambe come madri di nostra figlia, adesso lei è al sicuro, ma i “bimbi arcobaleno” rischiano razzismo ed emarginazione». Parole gravi, seppure in una sera di festa, affidate alla loro avvocata Maria Grazia Pili, che le ha seguite fin dall’inizio, quando ottenere questa stepchild adoption sembrava davvero impossibile. Invece con la sentenza 12962, gli Ermellini hanno affermato che, accertato il «prevalente interesse del minore», sarebbe “inammissibile” e di “natura discriminatoria”, una «valutazione negativa fondata esclusivamente sull’orientamento sessuale della madre della minore e della richiedente l’adozione».
Una sentenza che com’era prevedibile ha scatenato una valanga di reazioni, tra chi parla di “pagina storica” (i Radicali), e chi come Roccella e Lupi la definisce una “violazione del diritto”. Il ministro della Giustizia Orlando: «Le sentenze devono sempre essere rispettate. Si sapeva che quando il Parlamento ha deciso di non intervenire sulla materia, questa sarebbe stata inevitabilmente rimessa alla giurisprudenza. E così è accaduto».